Due mesi fa il Milan colava a picco affondato dallo Zurigo. Il punto più basso di una stagione che stavamo già per incartare come fallimentare, così come il nuovo allenatore selezionato dall'establishment dirigenziale. Due mesi dopo c'è un Milan che attende una qualificazione anticipata e si propone come modello rivoluzionario di calcio contro tutti gli schemi consolidati. Tutto quello che c'è stato in mezzo ha portato, oltre che all'escalation di risultati, al consolidamento di uno zoccolo duro e di una formazione titolare cui Leonardo deroga mal volentieri. Qualsiasi variante è assolutamente necessitata, diversamente giocano sempre gli stessi. Se contro il Marsiglia partirà Inzaghi, l'uomo cui si deve l'impresa della gara d'andata, ciò è dovuto in maniera preponderante alle condizioni precarie di Borriello, che, diversamente, sarebbe partito titolare e Milan-Real lo insegna. Se, dunque, gli uomini non cambiano, come cantava qualcuno, ci si domanda se possa, o magari debba, cambiare l'atteggiamento della squadra, temperandosi in un approccio meno rischioso e scapestrato. E' vero, l'evoluzione tattica del Milan leonardiano è un volo pindarico, un viaggio visionario, un meraviglioso salto nel delirio. Qualche solone però va oltre e parla già di un Milan di gradassi, di un Milan che finirà soffocato dalla propria presunzione, auspicando un brusco ridimensionamento dell'attuale eccesso di offensivismo, quasi invocando una sonora imbarcata come salutare lezione di umiltà. Non risulta che il Milan abbia smarrito l'umiltà: questa è una squadra che Leonardo ha fatto forte armandola dei suoi difetti: i suoi limiti sono diventati le sue armi. E allora fa bene Leo a parlare con la sicurezza dei forti e a scansare l'idea aprioristica di un pareggino calcolato. Perché non c'è presunzione nel fidarsi di sé stessi.
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