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martedì 10 novembre 2009

Sblianciato ma straordinario, è il Milan di Leo

Un mese fa e spiccioli Leonardo era per tutti un uomo in procinto di ricevere un sonoro calcio nel sedere. Tutto è cambiato dopo Atalanta-Milan, una partita imbarazzante quasi perduta nonostante un'ora di superiorità numerica, un tredicesimo posto in classifica, un 4-4-2 partorito per disperazione. C'è voluto anche un primo tempo sott'acqua contro la Roma, prima che spuntasse un sole nuovo nella galassia rossonera. Leonardo ha detto basta; basta tirare a campare, basta sopravvivere a stento. Meglio morire da eroi, osando con coraggio. Nasce un Milan nuovo. Quattro giocatori deputati a fare ciò che sanno fare al meglio: attaccare, senza altre incombenze. A difendere ci pensano gli altri, tanto Leo ha ciò che l'ultimo Ancelotti poteva solo sognarsi: una coppia centrale top mondo, come direbbe Galliani. Un concetto talmente lapalissiano da apparire rivoluzionario. Prendere il meglio da ciascuno, una volta constatata l'impossibilità di spremere corsa e sacrificio da chi non ha più la possibilità di darlo, o anche solo la voglia di farlo. Un Milan che va contro i fondamenti del calcio moderno, che è una sorta di transavanguardia dopo la modernizzazione futuristica teorizzata da Sacchi, dove tutti fanno tutto, attaccano e anche difendono, un armonia collettiva che è data dal perfetto bilanciamento della fase di possesso e di quella di non possesso. Siamo oltre il palleggio sterilizzato dell'ultimo Ancelotti. Non gli hanno cambiato gli uomini e allora Leonardo ha cucito addosso agli uomini che aveva un vestitino su misura. Ecco il modulo più brasiliano che ci sia. Sembra un gioco di parole, ma è la verità: l'unica qualità che rimane al Milan è la qualità. Meglio usarla tutta quanta. "Sbilanciato, ma straordinario". Lo dice Leo, lo dicono i fatti.

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